04 agosto 2009

Fotografie ... che non scoloriranno

Volevo inserire una foto, di quelle vecchie, ma non la trovo.
Il suo posto nell’album è inesorabilmente vuoto.
Non smetterò di cercarla, e probabilmente ritroverò quell’immagine che ultimamente ho avuto davanti agli occhi varie volte.
Sei appoggiato alla balaustra del rifugio Auronzo, con il cappellino in testa ed il bastone in mano, i tuoi occhi fissano le Tre Cime meglio di quanto possano fare i miei, a quasi ottant’anni non porti occhiali.
Ciao Papà.

Piccoli stralci dal mio bicchiere mezzo pieno.

Poco dopo il rifugio Auronzo mi fermo per una breve sosta alla Cappella degli Alpini, eretta proprio ai piedi della Cima Grande per aggiungere un tocco spirituale a quel luogo. Uno sguardo verso l’interno, uno sguardo verso la montagna, uno sguardo verso il cielo (“dove il nulla si fa mondo, dove brilla la tua luce” cantavano Le Orme) e via.

Poco prima della Forcella Lavaredo un tizio (credo dell’organizzazione) ci indica di girare verso il “sentiero basso” perché quello è il percorso ufficiale. In pochi lo ascoltiamo, quasi tutti vanno dritti per il sentiero più ripido. Penso:”Se questo è il percorso ufficiale significa che è qua dove si vedono i paesaggi delle foto inserite nel sito”. Ed infatti, poco dopo aver valicato la Forcella, mi basta voltarmi un momento per capire che ho fatto la scelta giusta, impossibile non fermarmi e godermi le Tre Cime per alcuni secondi. Poco più in alto di me vedo la lunga coda dei “corridori” impossibilitati a fermarsi dal sentiero troppo stretto. Anche qua sono solo io che guardo dalla parte opposta al senso di marcia, assieme a qualche fotografo ed escursionista.

Il sentiero subito dopo il Locatelli, sopra ai laghetti.
La loro quiete ed il loro colore smeraldo mi tentano, vorrei scendere giù e bagnarmi, ma rimango lucido, non vedo un sentiero per poi ritornare sù.
Accantono le prime fatiche, per ritrovarmele tutte in un solo colpo, poco dopo, nella salitona verso la Forcella Piani di Cengia.
La prima salita che cammino non a causa della troppa gente, ma della pendenza e della stanchezza.
Non so ancora cosa mi aspetta dopo il Comici, verso la Forcella Giralba.

Chiazze di neve ai lati del sentiero, per un centinaio di metri anche la calpestiamo.
Chi è passato prima di me ha incavato delle impronte, obbligatorie da ricalcare.
Come faccio a non fermarmi per raccoglierne una manciata?
Scavare un po’, cercarne di pulita per appoggiarla alla bocca.
Passarla sul collo e sentirne le gocce gelide lungo la schiena.

Rifugio Comici, entro.
Mi fermo davanti alle figure di Zsigismondy; solo adesso, dopo due giorni, credo di aver capito il suo sguardo.

La Croda dei Toni è là, imponente, sembra che ci dica:”voi la sotto siete solo delle pulci”.

A terra pezzi di reticolato arrugginiti, non credo li abbiano portati lassù di recente, per cui … resti della Grande Guerra?

Lungo un tratto, non ricordo bene dove, all’improvviso le nude rocce si arricchiscono di vegetazione. Ci immergiamo in qualcosa di profumatissimo.

Salita alla Forcella Giralba, una lunghissima processione di formiche colorate allineate lungo i tornanti da il senso a quello che sto facendo.
Un senso difficile da trovare ai più.
Arrivo al valico, mi fermo, mi giro a salutare quello che sto lasciando, un’identica scia di formiche colora la vari-tonia Dolomitica.

Subito dopo la Forcella divertimento puro.
Scendere di corsa sopra i ghiaioni è uno spasso che si può provare solamente in alta montagna.
Punto il piede e me lo ritrovo due metri più a valle.
L’equilibrio diventa un utilissimo optional regalato al portamento.

Mancano “solo” una dozzina di km, un terzo del percorso, le salite sono terminate, da adesso mi aspetta solo discesa, il mio punto forte (solo dopo mi accorgerò che invece sono circa a metà di quello che poi diventerà il mio tempo complessivo) mai penserei che questo è l’inizio della fine.

Alta val Giralba, poco dopo il Carducci il sentiero passa attraverso una fitta e bassa vegetazione, ci dobbiamo inchinare alla natura per immergerci dentro e passarci sotto.

Davanti a me due tizi non smettono un attimo di parlare, uno si mette anche a cantare una canzone dialettale. Invece io vorrei ascoltare quello che mi racconta la montagna, allungo un po’ il passo ma non riesco a staccarli di molto. Stereofonia, da un lato il ruscello, dall’altro vuote parole raccontano gare passate.
Mi fermo, li lascio andare, per sempre.

Il passo diventa instabile, l’appoggio dei piedi insicuro, ma la mente è ancora lucida: “Giovanni, calma, stai rischiando”, e la corsa diventa passo.

Un ristoro, un VERO ristoro, solo acqua che tre “eroi” vanno a raccogliere con le taniche nel sottostante ruscello, ed a forza di braccia trascinano fin quassù, da noi, per noi; GRAZIE!

Bassa val Giralba, il sentiero si fonde con il ruscello, mi ritrovo da solo, non avrò mica sbagliato percorso? No, vedo gente davanti e ne sento arrivare da dietro.
Acqua dappertutto, in più punti esce dalla montagna, impossibile non fermarmi un paio di volte a berla, anche se la sete non c’è.
Qualcuno che corre cerca gli appoggi sui sassi più alti, terminando inesorabilmente a mollo.
Io sto camminando già da un bel po’, rinuncio all’asciutto, come un bambino cammino dentro all’acqua ma questa non mi entra nelle scarpe, la suola è più alta, i piedi non si bagnano. Solo chi corre procura schizzi.

Arrivo, gli occhi sono gonfi, pieni di troppe immagini.

Il bicchiere mezzo vuoto lo sto ancora s-ragionando.