06 agosto 2009

Il rovescio della medaglia


Che non sia una gara “da tempo” me lo fa capire anche il Garmin, che da venerdì si accende solo per pochi secondi nonostante i continui reset. Probabilmente le sua batteria è terminata prima della mia, e stranamente non si ricarica. (Premonizione?)

Io corro per … correre, non per camminare.
Qualcuno dice:”ma nei sentieri impossibili, oppure quando sei stanco, BISOGNA camminare”.
Okay, d’accordo, ma diventa un’altra storia.
(Ed infatti la Camignada è un’altra storia)

Verso la fine della prima salitona, quando è impossibile correre sia a causa delle pendenze sia a causa del sentiero obbligato, dove tutti camminano, qualcosa cambia dentro di me.
Qualcosa probabilmente provocato dall’essere sotto sforzo in altitudine.
Quando dalla corsa passo …al passo, per alcuni secondi mi gira la testa, devo fermarmi ed appoggiarmi a qualcosa (Inizialmente la cosa mi mette paura, poi mi capiterà altre volte).

Il magone è iniziato quando ho visto il rifugio Auronzo, e forse svanisce adesso, quando le Tre Cime stanno sparendo dietro al valico. E’ difficile correre con un groppo in gola che ti impedisce di respirare.

Mi sono molto allenato ai cambiamenti di ritmo ma rimanendo sempre in “corsetta”, mai ai cambiamenti corsa/passo.

Una prima parte di gara ... da vedere, una seconda parte ... da pensare.

I polpacci si rifiutano di spingere, devo fermarmi alcuni secondi.

Nelle discese (solitamente un mio punto forte) sento che i piedi vanno per conto loro, quando li poggio mi manca la presa, manca la sicurezza, e non voglio assolutamente farmi del male.

A metà val Giralba l’aria improvvisamente cambia.
Sù era fresca, quasi fredda, qua mi arriva improvvisa una strana ventata calda: “CHI HA ACCESO IL PHON???”

Il mio fisico e la mia mente sopportano al massimo tre ore e mezza di corsa.
Mi ero allenato a quello. Mi sono SEMPRE allenato a quello.
Il mio massimo erano state le 4h15’ della prima maratona, adesso dove trovo dei lumicini per correre … oltre?

La cosa inizia a non piacermi più. Lo sapevo che non era un gioco, per questo mi sono preparato “duro”. Mi chiedo:”perché questa seconda parte di gara deve rovinarmi tutto quello che ho “raccolto” nella prima parte?”

Un paio d’anni fa, quando ho ripreso a correre, mi ero detto:”basta faticate, farò solo cose che mi piacciono e che mi diano soddisfazioni”.
Poi è arrivata l’idea “Camignada”.
Adesso che l’ho fatta … “basta faticate, farò solo…ecc”.

Degli ultimi 6 km (i primi segnalati) riesco a correrne a tratti circa la metà, quasi tutti sotto il sole cocente che mi ustiona faccia e spalle.

Questo tratto finale non centra niente con la gara, è estenuante, una ricerca continua di motivazioni che mi portino al traguardo.
Poi di motivazione ne rimane solo una, quella che l’angelo che mi ha sopportato per tutto questo periodo mi ti sta aspettando con trepidazione al traguardo, ed urlo dentro di me: ”BAAASTAAAA!, Ma chi me lo fa fare?”

MA QUANTI KAZZO SONO STI KILOMETRI ?!?!?!

Tagliando il traguardo, nonostante il sorriso di facciata che appare nella foto, dentro di me non provo niente, sono vuoto, uno zombie che cerca solamente qualcosa da bere.

Quando viene a mancare il sentimento finale significa che, forse, non ne è valsa la pena.

Mai la parola “pena” fu così azzeccata.
Ed il bicchiere si vuota completamente.

Ci mancavano solo le docce gelide.

Per fortuna il piatto di pastasciutta è abbondante, pian pianino gli zuccheri rientrano in circolo, ed il cervello ricomincia a ragionare.
Il cervello sì, ma dopo tre giorni le gambe urlano ancora:”PIETA’!!!”