Dovrei essere soddisfatto, felice, ed invece no.
In cima alla salita non ho potuto fare a meno di rallentare e godermi il panorama, il cielo era limpidissimo e si vedeva Venezia a quasi 100km di distanza. Dopo ho mangiato (a pranzo, non al ristoro eh!) i gnocchi con la puina (ricotta affumicata), il pastin, il gevero (lepre) con la polenta sponcia (un tipo di grano particolare, con il chicco a punta, che punge, in dialetto …sponcia).
Al pomeriggio ho riposato nel bosco, sopra ad un tappeto di profumatissimi ciclamini.
La corsa?
Ah si, c’era anche quella.
Ho centrato in pieno il tempo finale che intuivo, migliorando quello dello scorso anno di 2 minuti e mezzo, eppure …
mi lecco le ferite.
La caviglia che mi ero distorto un mesetto fa ha ceduto proprio all’inizio della discesa più impegnativa.
Il piede è andato storto, una fitta lancinante, mi sono fermato, ho ripreso fiato e recuperato forze, sono ripartito ed ho terminato la discesa lentamente, zoppicando, ascoltandomi, cercando di capire quali erano i movimenti che mi procuravano dolore. Poi ho sentito che il piede reggeva ed ho ripreso, in progressione, con rabbia, sempre meglio, sempre più veloce, ad un km dal traguardo volavo (il GPS mi da velocità massima 21km/h = 2’50 al km), e sono arrivato con … il pulsare del cuore che mi stringeva la gola.
Adesso la caviglia non è gonfia, buon segnale, però mi dolgono certi movimenti del piede, cattivo segnale.
10 agosto 2008
Il dopo Melerissima
10.8.08